Una mostra da viaggio. Devo confessare che la sfida di affrontare un argomento conosciuto in uno spazio completamente diverso, mi ha solleticato non poco.
In questo allestimento, la sfida, particolarmente interessante, da affrontare, è stata l’adattamento di un argomento conosciuto e di contenuti già praticati nella precedente mostra della ex pescheria di trieste, a uno spazio completamente nuovo e diverso: un porto dedicato a viaggiatori aerei, come lo erano, in fondo, anche i reperti da esporre, oggetti che si spostavano, per vie marine, da una costa all’altra dell’adriatico e attraverso il mediterraneo.
L’aeroporto è uno spazio frammentato, articolato su più piani e separato da un controllo severo, ricco di distrazioni, informazioni, grafica, pubblicità, nel quale era difficile dare forza emergente e identitaria alla mostra tanto quanto montarne le strutture durante le ore notturne, tra un volo in ritardo e un’alba tra gli aviogetti.
Il protagonista di entrambe le mostre è il “mare”, voce narrante dell’itinerario che conduce il visitatore alla scoperta delle storie che si intrecciano lungo le sue rive e nei suoi fondali. Nell’allestimento ho interpretato il tema del mare declinandolo in immagini, tridimensionalità e movimento e ho pensato a elementi espositivi che potessero essere riutilizzati per successive esposizioni in loco.
Lo spazio si articola su due ambienti dell’areoporto, una prima parte aperta al pubblico (land side) composta da un corridoio molto largo dove i viaggiatori passano in velocità tra le partenze e gli arrivi, sostano per un caffè o un panino o per comprare i giornali, e uno spazio a doppia altezza con luce zenitale proveniente da un lucernario dove si effettua il check in e si prende la scala mobile per accedere agli imbarchi.
Nel primo dei due ambienti la mostra presenta prevalentemente dei multimedia installati su una sorta di scenografia che deve dare risalto alle immagini in movimento. Si tratta di una quinta di onde ricavate dalla scomposizione tridimensionale di un piano ondulato in tante piccole fette che rivelano un’immagine magnificata della superficie marina, che si vede completa solo da lontano, filtrata dalle onde tridimensionali. Tali quinte ospitano e incorniciano i monitor e nascondono un locale tecnico per il cablaggio e la manutenzione. Un piccolo banco di origami di tonni bianchi come le onde, sospeso a 3 metri di altezza, segnala ai passanti la presenza della mostra incuriosendoli da lontano.
Nello spazio a doppia altezza sta sospeso anche l’archeologo subacqueo in polistirolo, icona della mostra precedente che nuota sotto un mare di onde, fotografate e poi stampate su supporto semi-rigido e appese a mezz’aria ad una rete di fili d’acciaio, dividendo il vuoto scenico della corte a doppia altezza. Le onde si muovono, spinte dalle correnti d’aria mentre le loro ombre, se colpite dal sole, creano degli effetti di movimento, “agitando” anche la pavimentazione. Il subacqueo segnala la presenza di un totem tri-facciale con dei contenuti evocativi delle ricostruzioni tridimensionali dei pezzi più preziosi esposti nel museo archeologico di brindisi.
Nella seconda parte, (aire side) oltre la zona di controllo dell’aeroporto, cui accedono solo i viaggiatori in partenza, il mare nasconde e protegge i reperti ritrovati nei suoi fondali, fra le onde virtuali. Dietro le bacheche appare ancora la stessa immagine di mare, che si intravede tra le onde tridimensionali che invadendo il fondo delle stesse accompagna i preziosi ritrovamenti.
Ho utilizzato lo stesso tipo di riproduzione tridimensionale per ricostruire simbolicamente la grotta poesia, uno spazio in cui i visitatori si “immergono” attraverso videoproiezioni alle pareti e una pavimentazione che ripropone il fondale marino della grotta in una gigantografia caleidoscopica che non si ferma sul confine della stanza e fa galleggiare i contenuti e l’utente.
Con questo allestimento spero di essere riuscito a dare valore alla storia dell’adriatico, narrata in questa mostra attraverso i reperti con l’aiuto della tecnologia, e di aver contribuito a illustrare il difficile e avventuroso lavoro degli archeologi subacquei rubando l’attenzione dei viandanti agli smartphone.