Voices - Roma (RM)
La progettazione di questo negozio ha trovato le sue ragioni fondanti nella ricerca di un rapporto tra contenitore e contenuto, tra allestimento e peculiarità formali, materiche e simboliche del prodotto commercializzato: il telefono cellulare, oggetto simbolo della modernità e del ritmo accelerato dei nostri giorni.
Dopo aver osservato gli elementi del contesto, del luogo e del prodotto, desideravo che l’interpretazione dello spazio che andavo a definire avesse la capacità di prendere quelle cose “a cuore”, di carpirne il loro senso interiore, di portarne in presenza il sistema simbolico. Ricordando heidegger volevo cercare la “cosità delle cose”, scoprire il modo in cui le cose interagiscono e si riflettono a vicenda.
Costruire un ambiente simbolico costituito da forme significative voleva dire unificare fattori di specie diversa in una forma sintetica dominante. Questa forma è affiorata alla mia coscienza in maniera graduale, mentre ero ancora incerta sulla strada che avrei intrapreso, mentre cercavo di stabilire un contatto empatico con le cose, di ascoltarle per portarle naturalmente in presenza. Così quasi senza rendermene conto si è presentata l’immagine della cavità, un vuoto accogliente di un’architettura “al femminile” di cui tanto avevo sentito parlare. Forse un padiglione auricolare.
Una cavità articolata, geometricamente definita da alcuni centri generatori, sviluppata verticalmente da un continuum di rette parallele evocanti l’infinito quale loro punto d’incontro, secondo una stratificazione di elementi orizzontali di differente consistenza materica, a volte evanescenti.
Uno spazio multisensoriale costruito essenzialmente con la luce. La luce riflessa dalla materia, la luce contenuta nel colore, la luce quale elemento impalpabile dello spazio.
Un risultato ottenuto attraverso l’uso dei materiali: l’alluminio, con la sua superficie fortemente riflettente; i metacrilati colorati, di differenti spessori e consistenza materica (acidati, ghiacciati, opalescenti) e attraverso la tecnica costruttiva che ha permesso di tagliare le pareti verticali, creando un’illusione di smaterializzazione delle superfici, effetto reso possibile dalla costruzione di una serie di strutture retrostanti in ferro, invisibili, mobili, quasi delle macchine sceniche su cui sono state sospese le fluide ed eteree fasce che definiscono lo spazio.
Il legame con la facciata del palazzo è stato affermato nella scelta del rosa quale colore di base, riproposto anche nella cornice delle vetrine che si scorgono dietro le antiche grate di ferro.
L’arco del portale è stato considerato quale elemento caratterizzante dell’esterno, che si è introdotto come elemento di rottura del continuum spaziale interno, creando un forte legame tra le due dimensioni: il passato e il presente.
Il lungo tunnel definito dalla volte a botte termina con un grande schermo che trasmette, senza interruzioni, le immagini e le musiche della contemporaneità, dando allo spazio interno una connotazione dinamica e sonora, che invade anche la piazza.
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