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Concorso d’idee per la riqualificazione architettonico-urbanistica - tergu (ss)
"concorso d'idee per la riqualificazione architettonico-urbanistica dell’area prospiciente la rotatoria tra viale dei benedettini e via italia"
“brownfields are abandoned or underused industrial and commercial ... Leggi di più
Concorso d’idee per la riqualificazione architettonico-urbanistica - tergu (ss)
"concorso d'idee per la riqualificazione architettonico-urbanistica dell’area prospiciente la rotatoria tra viale dei benedettini e via italia"
“brownfields are abandoned or underused industrial and commercial facilities available for re-use.” “le “brownfield” sono territori abbandonati o strutture industriali e commerciali non utilizzate, disponibili per il riutilizzo.”
Il panorama dell’architettura, della pianificazione territoriale e dell’urbanistica, volgono sempre più il proprio sguardo verso il recupero piuttosto che verso lo sviluppo di aree ad oggi “incontaminate”. Vengono generalmente definite “brownfield” quelle aree, sovente situate ai margini della città, che originariamente erano produttive e dunque affondavano il loro valore nel potenziale economico.
Dopo lo “sfruttamento” e la produttività, segue la fase dell’abbandono e queste aree diventano “vuoti” cinti da muri insormontabili che negano segmenti di città alla città stessa. Non appena all’interno di una porzione di territorio smette di circolare la linfa vitale, ovvero le persone, quel frangente declina in maniera irrefrenabile ed inesorabile. Tale degrado porta con sé implicazioni anche a scala economica e sociale che vanno a ripercuotersi non solo sulle zone immediatamente limitrofe all’area degradata, ma si espandono quanto più viene loro permesso dai fattori stessi che la alimentano. Il compito, oggi, dell’architettura e della pianificazione è individuare le potenzialità dei questi vuoti e abbattere i recinti che li circondano.
Allargando il campo visivo possiamo affermare che ogni porzione di città, con un potenziale di fruibilità pubblica, che venga negata, può essere definita “brownfield”. Il caso di tergu ne è un esempio. Non un fuori scala, non una vecchia fabbrica, non un ex comparto produttivo, non un mostro di cemento, bensì un’area posta ad un incrocio di strade che diventa limite, diventa percorso obbligato. Una porzione di territorio non percorribile e dunque vuota. La grande vittoria è proprio quella di abbattere più possibile i recinti, più o meno grandi, ma costantemente ed inevitabilmente presenti in ogni luogo antropizzato. L’insediamento di due funzioni pubbliche in uno spazio di scala ridotta diventa dunque l’occasione per trasformare il limite in membrana osmotica e per creare uno spazio pubblico di qualità che vada a rivitalizzare il vuoto ma allo stesso tempo porti il suo eco molto più lontano, aumentando il carico di traffico ciclo-pedonale sulle direttrici che convergono sull’area.
La grande sfida, che supera quella di far mutare la natura di un limite in perimetro permeabile che permetta ai flussi l’attraversamento, è quella di creare uno spazio. Lo spazio non deve essere inteso come una entità percepita attraverso i suoi limiti ma, al contrario, deve essere esperienza sensoriale, immagine che rimane impressa attraverso la fruizione dello stesso. Uno spazio è qualsiasi luogo, chiuso od aperto, che regala a chi lo percorre, a chi lo fruisce, a chi lo vive, un’esperienza di benessere che abbraccia i cinque sensi e li culla attraverso il tempo che viene speso in quel determinato frangente. Altro elemento importante è, dunque, il tempo, che scandisce l’utilizzo e la vita di uno spazio. Sostare, attraversare, fermare, percorrere, sono tutti verbi 1 che hanno forte relazione con il tempo e dunque con lo spazio in cui si utilizzano questi verbi.
La vitalità dello spazio è ciò che determina il suo successo o il suo fallimento. L’obiettivo è quello di creare un successo. La piazza deve essere centro nevralgico dell’abitato, un punto di riferimento e soprattutto un luogo pronto ad accogliere e guidare i flussi di persone. Vista anche la vocazione turistica del comune di tergu, la creazione di uno spazio contemporaneo e assolutamente “internazionale”, ma plasmato con i materiali e le risorse del luogo, può essere l’occasione di offrire al visitatore un ambito nel quale si senta accolto e allo stesso tempo facente parte della comunità nella quale si trova in quell’istante.
Suggestioni
“s’io fossi pittore, ritrarrei coi miei colori più belli i suoi rustici idilli: le tosature, le feste, i balli antichi, i riti nuziali, i conviti; trasfonderei sulla tela l’ineffabile malinconia dei suoi tramonti, la desolata nudità delle sue giogaie, il vuoto sconfinato delle sue distese, il sorriso incantato dei suoi cieli e delle sue fanciulle.” pietro casu, “ghermita al core”
La bellezza della terra sarda sta anche nel saper alternare senza una apparente logica, scorci rudi e alle volte aspri a momenti più lineari e geometrici che testimoniano l’antropizzazione e la conseguente cura del territorio. La visione è quella di un territorio nel quale, alle volte, il tempo sembra essersi fermato, come se la tradizione vernacolare avesse avuto la meglio sulla frenetica realtà d’oggi. Un monito e un valore da conservare. Una suggestione che rimanda alle massaie sedute ad osservare la realtà, in un pomeriggio d’estate, fuori dalla porta di casa. Immagini di altri tempi, che stridono con la frenetica vita di oggi. Questo stridere è dovuto, forse, anche all’assenza di luoghi adatti alla socialità. Un tempo un marciapiede poteva somigliare ad una piazza. Ora serve un concetto diverso, serve un luogo dove sentirsi “protetti” e al riparo dallo stress.
Queste riflessioni portano alla creazione, all’interno della piazza, di spazi di socializzazione di qualità. Le sedute e le chaise longue in legno non diventano solo strumenti di sosta fini a se stessi, ma veri e propri “salotti urbani” nei quali si può vivere lo spazio della piazza nella sua accezione più legata alla socialità, all’incontro. La differenza di materiali e forme delle aree dedicate alla sosta permette anche la scelta del tempo da dedicare all’attività sociale. Più confortevoli e invitanti a soste lunghe le chaise longue, più adatte ad una sosta di breve durata le sedute. Queste ultime hanno anche il compito di sottolineare come le funzioni che insistono sull’area siano anch’esse pubbliche e dunque fruibili in egual modo rispetto alla piazza. Tale continuità tra spazio esterno e spazio interno si evince dalla presenza nelle sale d’attesa dell’ufficio postale e dell’ambulatorio, di sedute della stessa natura di quelle che compongono la piazza.
Lo spazio pubblico “sfonda” anche il confine dell’ edificio e diventa elemento di legame con quelli che, solitamente, sono intesi come edifici ben delimitati e “rinchiusi” su se stessi. La piazza si smaterializza e, nonostante una tangibile continuità, diventa, concettualmente un sistema di piazze che tende ad una infinita quantità di combinazioni possibili. Lo spazio di relazione si trasforma il linfa vitale per il progetto e ne amplifica le possibilità, ne sottolinea l’importanza. L’attivazione di processi di flussi di persone rivitalizza l’area e ne garantisce il presidio continuo.
La sostenibilità di questo progetto è, dunque, prima di tutto sociale.
Piazza sensoriale
“le parole disposte diversamente fanno un senso diverso, e i sensi diversamente disposti fanno effetti diversi.” (blaise pascal)
Il progetto di architettura non deve essere solo la ricerca del bello e della funzionalità. In particolare quando si parla di spazio pubblico, deve ricercarsi un valore aggiunto che renda il fruitore partecipe di quel luogo. Mantenendo ferma questa convinzione, ed esplorando la concezione di spazio di cui sopra, mescolata alle suggestioni regalate dalla terra sarda, risulta facile capire come si sia giunti ad un progetto di “piazza sensoriale”. Ogni elemento del progetto deve dialogare con uno o più sensi, regalando in questo modo una vera e propria esperienza sensoriale a chi vive questo nuovo spazio a disposizione della città.
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