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Davide Stona

Rocca di asolo, manutenzione straordinaria - Asolo (TV)

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Cenni storici e descrizione La rocca è una fortezza medievale riferibile alla seconda metà/ultimo quarto del xii secolo. La datazione appare certa grazie ai lavori di restauro avvenuti all’inizio degli anni 90 che hanno riportato alla luce monete del doge orio malipiero (1178-1192) trovate nelle trincee di fondazione o in strati coevi. Oltre alle emergenze archeologiche, la datazione trova conferma anche dai più antichi documenti scritti relativi agli edifici posti sul montericco risalenti al primo quarto del xiii secolo. In ogni caso, prima della costruzione della rocca il montericco era comunque abitato o usato, probabilmente già dall’epoca tardoantica. Le campagne archeologiche che sono state effettuate durante i lavori di restauro hanno messo in luce un piccolo saccello con pavimento mosaicato di epoca paleocristiana. Accanto ad esso, di epoca leggermente suttessiva sono state rinvenute alcune tombe, segno che all’epoca l’area sommitale del montericco era utilizzato come necropoli dalla vicina acelum. In seguito, fino al ix o x secolo, l’area venne in maniera più o meno continuativa usata come necropoli. La sommità del montericco cominciò a perdere di importanza come luogo di culto e area di sepoltura già con la fine della diocesi avvenuta per mano di ottone i. In quel periodo il saccello venne abbandonato, cadde in rovina e, vista la mancanza di macerie, spogliato dei suoi elementi lapidei. E’ ipotizzabile che per qualche secolo l’area fosse stata completamente abbandonata, ciò che è certo invece è che quando fu edificata la rocca esistesse già un piccolo borgo abitato. Infatti dalle trincee di fondazione è emerso che gli edifici che si trovavano sul sedime di quella che sarà la fortezza vennero sventrati per far posto alla nuova costruzione. Una prima seria azione di risanamento della struttura avvenne dopo il passaggio di asolo dalle mani dei carraresi ai veneziani, quindi dopo il 1388. Probabilmente la rocca necessitava di azioni di restauro dato che venne assediata già nel 1381 dai veneziani come testimoniano le parole di un cronista padovano dell’epoca riportate dal bortolami in “pietre” asolane, pg 54: “ (il) capetanio de quela zente (- i carraresi assediati nella rocca - ), fe fare una cava soto terra e quigi dentro ghe mete una aqua, siche quigi de fuora convene de lassar stare..”. Da ciò si desume che un primo pozzo era già stato costruito all’interno della rocca, mentre il pozzo attuale è di costruzione veneziana realizzato sempre in quel periodo. L’ultimo utilizzo certo in ambito bellico è registrato nel 1510 in occasione della guerra della lega di cambrai contro venezia quando alcune truppe germaniche si asseragliarono al suo interno: “(..) li tedeschi (...) si fortificarono in rocca, la qual fu battagliata per tre giorni.” (farronato, fonti documentarie, pg 123). In seguito perse ogni funzione strettamente bellica subendo un lento ma costante declino. L’ultima funzione pratica che le venne attribuita fu quella di lazzareto durante l’ondata di peste del 1628. Attualmente la rocca si presenta come un edificio compatto, irregolare i cui lati seguono l’andamento della cima del montericco. Lo spessore medio delle mura si aggira attorno ai 4 metri mentre sono alte mediamente 16 metri. L’unica apertura presente è la porta d’ingresso voltata. Questa è preceduta da una sorta di barbacane posto a protezione. A sud-est, nella parte più alta, è presente una torre costruita nello stesso periodo della rocca. La parte sommitale dell’edificio è interamente percorribile è offre la possibilità di controllare a 360 lo spazio racchiuso nell’asse est/ovest dal brenta e il piave, e nell’asse nord/sud dal massiccio del grappa e la pianura verso venezia. La merlatura originaria è in gran parte presente, mentre ricostruzioni risalenti al restauro novecentesco danno la suggestione di come doveva essere in origine. Lo spazio interno racchiuso dalle mura presenta alcune emergenze archeologiche come la cisterna del pozzo, una riproduzione del mosaico della chiesa paleocristiana e l’indicazione di alcune tombe della necropoli altomedievale. Dal lato ovest si staccano dalla rocca due braccia delle mura cominciate dai carraresi e ultimate dai veneziani che cingono asolo. La tessitura muraria è sostanzialmente omogenea, anche se ci sono alcuni punti di discontinuità, segno che è stata edificata in tempi celeri dalle stesse maestranze. Come precedentemente riportato, la rocca venne restaurata a cavallo tra glia anni ‘80 e ‘90. Da quel periodo non ha più subito azioni di manutenzione di tipo straordinario. Ciò ha favorito la comparsa sulle mura di colonie di piante che si annidano tra le fessure della tessitura muraria. Oltre a varie specie arbustive della famiglia delle graminaceae, si possono notare anche piante di ordine superiore. Tra queste, le più deleterie sono il bagolaro, celtis australis, conosciuto comunemente anche con il nome di spaccasassi a causa delle sue forti radici, adatte alla vita in terreni rocciosi o carsici e il fico comune, ficus carica, capace di diffondersi rapidamente. Inoltre proprio a causa delle caratteristiche intrinseche della rocca, è presente in maniera abbondante il cappero, capparis spinosa, il quale essendo una pianta eliofila e xerolila vive bene con un ridottissimo apporto di acqua e cresce spontaneamente su falesie o rupi con substrato calcareo. In fine, soprattutto sui versanti esterni si possono vedere grosse aggregazioni di edera, hedera helix. Oltre a ciò, nelle parti meno esposte al sole, si possono rilevare sottili strati omogenei, aderenti alla superficie lapidea di evidente natura biologica composte da muschi e licheni. Nell’area verde interna alla rocca è inoltre presente un grosso fico comune in prossimità della cisterna di raccolta per l’acqua di origine veneziana. Progetto Le intenzioni dell’amministrazione del comune di asolo erano quelle di intervenire con un’azione mirata all’eliminazione fisica la vegetazione infestante e a mantenere sotto controllo la stessa attraverso l’uso di adeguate sostanze chimiche. In particolare si è intervenuto sia con il diserbo chimico che con la pulizia manuale. Entrambe sono avvenute in maniera sia diffusa che puntuale partendo dalla sommità della rocca estendendosi sui paramenti murari interni ed esterni verso il basso. Per fare ciò, gli operatori hanno agito con ageduate imbragature calandosi dall’alto per procedere gradualmente alla pulizia. Mentre, le piante presenti all’interno della fortezza, quali il fico vicino alla cisterna veneziana, sono state devitalizzate e in seguito tagliate. Dall’esecuzione dell’opera si avrà il beneficio di salvaguardare le mura dell’edificio dalle azioni di degrado provocate dalla proliferazione di piante infestanti sui suoi paramenti verticali oltre che sulle emergenze archeologiche presenti all’interno. In particolare però, la parete interna a sud si presentava pesantemente intaccata da elementi vegetali di differenti specie. Era abbondante la presenza di muschi e piante striscianti stagionali che, partendo dalle insennature tra roccia e roccia, trovavano le condizioni adatte per poter proliferare anche a causa dell’ombreggiamento persistente durante i mesi estivi che favorisce l’instaurarsi di un ambiente umido. Le ideali condizioni ambientali hanno permesso a piante che generalmente sono di alto fusto di crescere tra le insennature e sviluppare un tronco vero e proprio del diametro medio di alcuni centimetri. L’intervento ha previsto una prima fase nella quale la superficie aerea delle piante è stata cosparsa con biotin, un biocida a largo spettro d’azione. In questo caso l’intervento è stato puntuale andando ad agire sulle singole piante che si potevano vedere come preventivamente rilevato in fase di progetto. Anche la parte più bassa della parete, quella che risultava maggiormente infestata dai muschi è stata trattata con gli stessi prodotti facendo attenzione a non coinvolgere il manto erboso sottostante. Per fare questo sono stati usati degli spruzzatori manuali direzionabili. Per quanto riguarda le piante d’alto fusto che come riportato stavano crescendo all’interno della muratura, sono state praticate delle incisioni e dei fori nella parte bassa, tra il fusto vero e proprio e l’attacco delle radici, tramite l’ausilio di un piccolo trapano e successivamente iniettato un erbicida per debellare definitivamente i soggetti in questione. Circa quindici giorni dopo, ovvero il tempo tecnico che serviva alle piante per assorbire i biocidi ed erbicidi spruzzati o iniettati, si è proceduto con l’asportazione manuale di ciò che rimaneva degli infestanti vegetali. In particolare le squadre di tecnici specializzati si sono calate dall’alto con sistemi in uso tra i rocciatori senza quindi l’installazione di ponteggi o trabattelli vista la delicatezza del sito in quetione. Inoltre, pure gli ancoraggi sono stati fatti sfruttando installazioni antropiche già esistenti (parapetti) limitando così al massimi l’invasività dell’intervento.
 
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